SHENMUE III, La nostra recensione PS4

Atteso per molto tempo dai fan, che ormai non speravano più in un’uscita del terzo capitolo di una serie che ha segnato, sotto molti aspetti, un’era gaming alla maniera giapponese, Shenmue III ha visto la luce, anche e soprattutto per la felice campagna di finanziamento kickstarter, su console PlayStation 4 e su PC via Epic Games Store.

Ha rispettato le voglie, i desideri, le aspettative che lo hanno accompagnato in questi anni? Diciamo subito che Shenmue III manca un obiettivo (o almeno quello che ci si poteva attendere dopo cotanta attesa), ossia terminare la storia che aveva preso piede nei primi due capitoli su Dreamcast by SEGA: potrebbe essere una buona notizia, se, e solo se, il caro e pluripremiato Yu Suzuki, avesse in serbo la sorpresa del capitolo conclusivo a breve giro di posta. In caso contrario, se si è dovuto attendere tutti questi anni per vedere il terzo capitolo della saga di Ryo Hazuki, quanto ci vorrà per vedere la tanto agognata fine della storia?

Ma parliamo di Shenmue III, ossia quello che tutti i fan aspettavano da anni e che hanno potuto riassaporare dopo il recente porting su console di nuovo conio dei primi due capitoli. Ci eravamo lasciati con Ryo nella Cina rustica, nel suo viaggio alla continua ricerca dell’assassino del padre: qui, in una cava e in compagnia della fidata Shenhua, apprende che c’è del mistero nascosto tra le due famiglie, che ci sono dei legami da scoprire, che c’è un passato da far riemergere. Al ritorno dei due ragazzi nel paesino di Bailu, una delle due sedi in cui si svolge il gioco, si capirà ben presto che gli scalpellini, e con essi il padre di Shenhua, sono presi di mira da una banda di teppisti e vengono rapiti. Lo start di Shenmue III lo dà proprio questo evento che costringerà Ryo e la compagna gradita, a interrogare i paesani, a giocare o lavorare per ottenere le dritte necessarie, a vivere la vita quotidiana di un paesino rurale, a un anno di distanza dagli eventi di Shenmue II.

Siamo nel 1987, un tuffo nel passato, come se il tempo si fosse fermato in Shenmue, in questo terzo capitolo troviamo infatti le stesse esigenze di prima, Ryo deve ossia mangiare, riposarsi, ottenere del denaro, non solo per ottenere qualche manuale tecnico necessario per apprendere nuove tecniche di combattimento, ma anche per poter sopravvivere. Il ritmo è pertanto molto lento, un ritmo a cui non siamo certo abituati nel 2019, con la frenesia dei games di oggi: ma una lentezza che consente di assaporare un paesaggio e un tempo romantico, tutto da vivere, in ogni suo secondo.

Il tempo, come era ovvio, è un importante motore della storia, sia perché le azioni di Ryo vengono scandite dalle ore, sia perché il trascorrere del tempo costringe il ragazzo a riposare, a lavorare, a guadagnare, a cibarsi, ad allenarsi per poter affrontare nemici sempre più potenti. Il paesaggio cangiante, anche questo è scandito dal tempo che passa, con il giorno fatto per le attività quotidiane, per esplorare, raccogliere erbe e piante, allenarsi e scalare la classifica e i Dan, e la notte per riposare, ripercorrere le ‘conquiste giornaliere’ nei dialoghi con Shenhua, un trascorrere giorno-notte ciclico che viene espresso in maniera quasi poetica e romantica dalla grafica del paesaggio che si adatta.

Il giorno, coloratissimo e rumoroso, tutto da vivere e che coinvolge nell’esplorazione e nelle indagini, viene arricchito da un design del paesaggio invidiabile, che spesso ci fa perdere (volutamente senza indicazioni e mappe, proprio per spingerci all’esplorazione e alla memoria dei luoghi) e vagare a destra e a manca: è qui che si apprezzano colori, suoni e musiche, che si viene a contatto con una storia (e un gioco), fuori dal tempo ma bellissima.

In Shenmue III, il ritmo lento non inficia l’esperienza di gameplay, anche se spesso per ottenere una ricompensa, raggiungere un mini obiettivo o compiere un piccolo passo decisivo verso il procedere della narrazione e della quest principale ci vogliono azioni su azioni talvolta ripetitive (raccogliere erbe specifiche per ottenere risposte, raccogliere monete necessarie per ottenere una tecnica, cercare alcolici e cibo per poter parlare con un vecchio ubriacone, allenarsi con le galline per ottenere una tecnica speciale…), ma spesso ci porteranno a conoscere alcuni aspetti e dettagli del gioco che potremmo al contrario perderci.

Perché va preso per quello che è, uno Shenmue: si combatte bene, in maniera molto più ragionata che action, come le arti marziali orientali insegnano, e si combatte poco. Tante le attività da fare, tante le cose da imparare, l’esperienza da accumulare: c’è persino un minimo di fan service con potenziali outfit per il nostro protagonista e tanti mini-game, che vanno dalle sale giochi ai casinò.

Non andando più a fondo in quello che è la storia, o l’incedere narrativo del gioco in sé, possiamo andare a notare come Shenmue III non sia altro che uno Shenmue, sia perché i modelli, la grafica, il gameplay, sono sicuramente più legati alla tradizione che a una moderna concezione, sia perché proprio quel legame tradizionale è forse quello che il fan si aspettava di vedere.

Insomma, Shenmue III riempie tutte le caselle vuote lasciate anni fa con il secondo capitolo della serie, riempie il vuoto dell’anima dei giocatori e fan della serie, rievoca sentimenti passati e un certo amore per la cultura e la tradizione di stampo orientale. E’ quello che deve essere. Ma deve esserci uno Shenmue IV.

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