Per affondare con doverosa e sapiente violenza i nostri artigli su uno dei titoli horror più attesi, sia per l’ambientazione infernale che ne configura i cruenti ambienti, che per la possibilità di procedere, a scapito nostro, dentro antri oscuri e violenti quanto più vogliamo e preferiamo, dobbiamo andare a valutare Agony nella sua moltitudine di aspetti, cercando poi, per quanto possibile, dare un giudizio nel suo complesso. In un unico titolo, infatti, si rischia di toccare picchi di qualità assoluta, sotto alcuni punti vista, e le profondità più oscure, sotto altri. Nessuna mezza misura quindi per Agony, ma aspetti che avrebbero potuto tranquillamente far segnare un capolavoro del genere, e altri che al contempo lo fanno scadere nell’anonimato più peccaminoso.
Valutiamo entrambi i picchi, partendo da quello che fa segnare per Agony un livello qualitativo sicuramente molto elevato: L’inferno, i suoi ambienti crudi e crudeli, le asperità, il tutto è espresso graficamente in tutta la sua magnificenza. I demoni o Succubi (reali e minacciosi, dallo spiccato senso del piacere nel causare ulteriore dolore a anime già consumate dalla agonia più incombente), la nudità, la violenza, il sangue, i suoni, i rumori, le urla, le aberrazioni, tutti questi aspetti sono curati nel minimo dettaglio e contribuiscono ulteriormente ad alimentare nel giocatore un senso di abbandono, di vuota ricerca, di paura, di orrore e di sdegno, sicuramente per le immagini che si presentano davanti, labirinto infernale dopo labirinto infernale. Tra una sezione e l’altra dell’inferno sono disseminati enigmi per sbloccare altre aree della mappa (come scovare il simbolo adatto da riprodurre con il dito e con il sangue come inchiostro) e lettere per approfondire la storia dei dannati o Martiri (qui forse un po’ troppo lunghi e non sempre incisivi per un horror survival).
Come accennato, a configurare appieno Agony come survival horror con tutti i crismi del gioco infernale, contribuiscono gli aspetti cruenti e violenti parecchio ricercati, che vengono infatti rappresentati in una maniera mai vista, in un inferno che viene costruito nei particolari con una ricerca quasi ossessiva, da parte degli sviluppatori, dell’immagine più violenta e disgustosa. Il tutto avvolto in un alone di oscurità che può essere squarciata solo per alcuni frangenti: le torce, presenti in grande abbondanza, devono infatti essere adoperate con parsimonia, visto che sono la causa della nostra sconfitta e caduta. I demoni, quasi fosse il miele per le api, sono infatti attirati da quelle torce che sembrano quasi minare il continuum di oscurità e aberrazioni dell’inferno: meglio adoperarle quindi solo in casi eccezionali, in momenti di estrema oscurità o solo per incendiare rovi che ostruiscono il nostro, dinoccolante, incedere.
La storia: siamo nei panni scarni e claudicanti di un Martire che avanza indeciso e privo di guida (in realtà c’è una trovata per guidarci nei labirinti infernali, una fascio luminoso che possiamo chiamare in causa quando ci sentiamo smarriti), ma sin da subito siamo consapevoli che dovremo passare tra tantissime minacce per poter raggiungere una fantomatica Dea Rossa, sensuale e crudele, ma dal potere di liberarci dalla nostra agonia e dalla condanna di eterno dolore. Al contempo, si potrà vivere la storia anche dal punto di vista del demone, in modalità Succube, e apprezzare ambienti ostili e ostici da raggiungere nella storia principale, e approfittando dell’utilizzo di artigli dolorosissimi. Un po’ meno ‘ricca’ la versione modalità Agonia, che consente però di poter affrontare sfide proceduralmente create, corse a tempo etc etc anche con classifiche mondiali.
Fin qui tutto (o quasi) fantastico, ma un gioco, non va solo visto, sentito e vissuto, ma va anche giocato: un survival horror poteva infatti includere sezioni stealth, in alcuni frangenti, ma la meccanica di gioco è in pratica (specie da principio e per un bel pezzo in avanti) incentrata proprio su questo genere. E, c’è da dirlo, non è che siamo davanti a uno stealth quanto meno degno di tale nome: intanto l’eccessivo livello punitivo va a cozzare con la nostra ricerca di nascondigli o di trattenere il respiro, visto che basta essere percepiti per una frazione di secondo per morire (di nuovo!) e perdere il corpo che ospita il nostro spirito, anche se in via del tutto temporanea. Potremo nasconderci in scivolosi e viscidi anfratti, oppure tra cadaveri malconci e putridi, per sfuggire alle grinfie delle Succubi, trattenere il fiato finché possibile: tutto molto scontato, e, tra l’altro, non proprio brillante nella scelta delle dinamiche stealth.
A far precipitare la valutazione complessiva di Agony è il gameplay troppo approssimativo, talvolta snervante, e i tanti bug ed errori palesi di codice: non capita di rado veder crashare il gioco, inoltre, lo stile quasi impeccabile dell’inferno, ben disegnato, viene talvolta minacciato da alcune scelte di texture che causano senso di sbigottimento nel giocatore attento. Compromessi che possono essere anche accettabili, ma quando ti si pongono davanti i dannati o Martiri, con i quali devi per forza di cose interagire (qualcuno di loro potrebbe ospitare il tuo spirito dopo che vieni ucciso) anche per esigenze di trama, il senso di spaesamento è totale: i modelli adoperati per questi personaggi cozzano in maniera troppo evidente con il contesto e con le scelte tecniche e di stile ambientale.
Agony mette in scena tutto ciò che di violento, crudele, cruento e orrido la nostra immaginazione possa raggiungere quando si parla di abisso infernale, inferno alla dantesca per intenderci. Ad un comparto grafico e design di ambienti unico e di altissima fattura, a suoni, rumori, musiche e urla che configurano il genere horror e contribuiscono ad una immersività profonda, corrisponde però la poca brillantezza nella scelta dei modelli dei personaggi ed errori grossolani di codice che minano l’esperienza a 360 gradi, per un titolo che poteva essere un must del genere, ma che non rispetta doverosamente il gameplay.