Pochi giorni fa si era diffusa una notizia, dove si asseriva che l’Arabia Saudita aveva lanciato una fatwa sul social network più conosciuto al mondo. Ma Sultan Malik, portavoce ufficiale della Communication and Information Technology Commission, nonché rappresentante del governo di Ryad ha affermato che non c’era alcuna motivazione per oscurare il social network e, se c’è stato un errore, è soltanto di natura tecnica/informatica. Non certamente politica. Queste le sue parole: “Il blocco di Facebook è stato accidentale e ha riguardato alcune parti del regno ma ha ripreso la sua normale operatività non appena è stato risolto. Non c’è alcun cambiamento nell’impiego di Facebook nel regno, il sito opererà come ha sempre fatto”.
Sara vero? O è solo diplomazia? Resta il fatto che comunque non è la prima volta che Facebook finisce nel mirino degli ayatollah: talvolta era stato definito come veicolo e portatore di lussuria, luogo in cui ragazzi e ragazze possono parlare troppo liberamente.
Per esempio, una volta un blogger usando Facebook fu accusato di aver condotto una campagna di blasfemia. “Io sono Dio” scriveva delirante il blogger che scriveva post offensivi rivolti al profeta Maometto. Walid Husayn, un barbiere della cittadina di Qalqiliya, figlio di uno studioso dell’Islam, si era servito del sito blu per criticare la religione, al fine di favorire la libertà di espressione, apostasia e ateismo.
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