Il post apocalittico è sicuramente uno scenario che, sebbene sovrautilizzato sia che si parli di videogame, sia che si tratti di serie TV di ultima generazione, presta bene il fianco a diversi generi videoludici e non solo. La paura generata dal mistero che può celarsi dietro un futuro distopico post nucleare, in quello che la Natura potrebbe riservarci e nelle aberrazioni che ne potrebbero derivare, alimenta di enfasi e sensazioni contrastanti un contesto che, volenti o nolenti, resta sempre e comunque affascinante.
Un fascino dettato appunto da quell’alone di mistero che filtra possibili scenari realistici, che dipinge paesaggi devastati, che ricostruisce ambienti naturali in lande desolate e dove l’uomo, dopo aver tentato di distruggere tutto con le bombe atomiche, non può far altro che stare a guardare, perire o tentare di sopravvivere. Ma la violenza, si sa, è insita nell’animo umano, e se a questa indole innata si aggiunge un’incertezza costante sul futuro e sulla sopravvivenza, vuoi per la mancanza di risorse, vuoi per la presenza di nuove creature mutanti che si ergono al di sopra dell’uomo nella catena alimentare, il clima cruento e crudele non può che esserne l’esito scontato.
Clima, nel senso meteorologico del termine, che ha una parte fondamentale in Metro, l’universo creato dallo scrittore russo Dmitry Glukhovsky, che dai racconti iniziali si è trasformato in un romanzo, in cortometraggi e, ovviamente, in videogame: Sin dai tempi del primo dei capitolo della trilogia, Metro: 2033, la Mosca innevata ha fatto da contesto al microcosmo creato dai pochi superstiti della terza guerra mondiale del 2013. Dopo la guerra nucleare, infatti, il mondo è caduto in rovina, si era inaugurata un’era post-apocalittica in cui sopravvivere era reso difficile dalla mancanza di cibo e risorse primarie, dalle radiazioni e dalla presenza di creature mutanti generate proprio dalle atrocità umane, violente e ostinate. Ma, anch’esse guidate semplicemente dall’istinto di sopravvivenza. Non per questo meno terrificanti.
Se nei primi due capitoli di Metro eravamo stati abituati a sopravvivere nel claustrofobico mondo sotterraneo della metro di Mosca, e a vedere la luce del giorno e il paesaggio innevato in superficie solo per alcuni celeri passaggi, con Metro Exodus veniamo catapultati in un mondo aperto, fatto di luce e oscurità, di giorno e notte, di aree gelide e aree desertiche, passando per ambientazioni rigogliose e verdeggianti. Un open-world che si apre alla narrazione, con una storia che porta il nostro protagonista di tante battaglie, Artyom, a cimentarsi con la vita in superficie, in compagnia della moglie Anna, sotto la guida non sempre amichevole del colonnello Miller e coadiuvati dallo squadrone degli spartani. Non mancheranno nuovi incontri, nuovi personaggi che, in un percorso quasi on the road a bordo di una locomotiva, ci accompagneranno verso la conclusione non solo della trilogia videoludica, ma anche di tutto l’universo creato da Glukhovsky.
Metro Exodus è il compimento di un viaggio, è il rivedere la luce dopo anni di oscurità e sofferenze, è la ricerca di un nuovo posto in cui poter vivere, non scavando sempre e solo nelle profondità della terra per poter arrivare al giorno successivo. E’ il poter tornare a scandire il giorno e la notte in base al corso del sole, è il poter rivivere le stagioni con le loro asperità e le loro bellezze: Il nostro viaggio sulla locomotiva, che si trasformerà presto in un treno a vagoni tale da ospitare altri esuli desiderosi di sopravvivere in un mondo migliora, durerà in tutto un anno, il tempo necessario per poter vedere il cambio delle stagioni, potersi lamentare del caldo afoso, della mancanza di acqua, di potersi giovare della Natura nella sua accezione più piacevole e non solo attraverso le aberrazioni mutanti che ne sono derivate.
Creature, è bene dirlo, che saranno ben presenti e sempre agguerrite in Metro Exodus, con Artyom che dovrà affrontare non pochi mutanti prima di poter portare a termine le missioni: dai mutanti antropomorfi ai demoni volanti, da crostacei gigantesci e velenosi a pesci gatto grandi quanto un autobus, il viaggio in superficie non sarà certo una passeggiata. E non mancheranno ovviamente i gruppi di uomini armati, banditi, ladri, mercenari incalliti, persino gruppi di fanatici religiosi a mettere i bastoni tra le ruote alla ricerca di Artyom.
Insomma, i fan di Metro avranno a che fare con meccaniche di gioco conosciute ma migliorate, un po’ meno claustrofobiche rispetto al passato, per evidente necessità narrativa, ma con un sistema di combattimento, sempre rigorosamente in prima persona, che offrirà parecchi spunti nuovi, una grande versatilità, grandi opportunità di approccio e una profondità di crafting delle armi che può determinare la riuscita o meno di una missione. Proprio il sistema di personalizzazione delle armi è uno degli aspetti che Metro Exodus mette in risalto: Artyom, o raccogliendo risorse dai nemici sconfitti o nel mondo visitato, oppure accettando generosi doni dei compagni, potrà recarsi al primo tavolo da lavoro che incontra per crearsi le armi perfette, modificandone ogni singolo accessorio. Varianti innumerevoli per le armi che riflettono, e rispondono ottimamente, il diverso approccio che il gamer ha nei confronti delle missioni: ovviamente chi ha un approccio più stealth opterà per armi silenziate, potenti e precise, magari da utilizzare anche a dovuta distanza dal nemico. Ma in Metro Exodus, le tantissime possibilità di personalizzazione delle armi rendono ottimale anche l’approccio più audace, lo scontro frontale con i nemici.
Altra differenza in questo ultimo capitolo della trilogia rispetto al passato è il mondo aperto: sia ben chiaro che sia il filone narrativo che il sistema di missioni è abbastanza lineare, ma le opportunità di spaziare per il giocatore sono tante, tali da avvicinare Metro Exodus a un vero open-world. In un percorso comunque obbligato, Artyom potrà in ogni caso prendersi il suo tempo visitando luoghi contrassegnati con un punto interrogativo sulla mappa. Ovviamente si dovrà tener conto della pochezza di risorse e proiettili a disposizione, perché i banditi e i mutanti sono sempre in agguato. Stavolta, però, giungono opportunamente in nostro soccorso un indispensabile zaino e il tavolo da lavoro: il primo lo porteremo sempre con noi, utilissimo per poter creare medicine, filtri per la maschera antigas, coltelli e vari item, il secondo invece ci consente di sviluppare al meglio le nostre armi, di pulire e migliorare il nostro equipaggiamento e di creare munizioni per scatenare il fuoco contro i nemici.
Dal punto di vista tecnico e grafico, Metro Exodus fa un deciso passo in avanti rispetto ai predecessori, con scorci e paesaggi curati e differenti anche nel rispecchiare fedelmente il corso delle stagioni, un design di alto profilo che si riflette anche nei modelli delle armi e nell’equipaggiamento, nonchè nei modelli delle creature mutanti e dei personaggi. Di alto profilo anche la storia, i dialoghi e i doppiaggi in italiano, mentre non convince appieno l’IA sulla quale si poteva forse porre maggiore attenzione.
METRO EXODUS, ultimo titolo di 4A Games, è un titolo che merita di essere vissuto, che strizza l’occhio ai fan ma si apre anche a una fetta di giocatori non molto avvezzi agli ambienti claustrofobici dei primi due Metro, un premio a una storia coinvolgente che vi spingerà, se non lo avete fatto, a recuperare i precedenti capitoli.
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